11  SETTEMBRE

“I FARISEI FURONO PIENI DI RABBIA E DISCUTEVANO FRA LORO PER QUELLO CHE AVREBBERO POTUTO FARE A GESU’”. (Lc. 6,11)

           Il Vangelo di oggi ci parla della guarigione di un uomo che aveva la mano rattrappita.  Lui era un malato, ma la figura delle mani rattrappite, chiuse indicano spesso l’avarizia, la grettezza di cuore. E questa è tipica dei farisei. 

           Ma mentre Gesù può operare la guarigione della mano malata, Gesù non può guarire il cuore rattrappito di questi fanatici osservanti della legge. La rabbia degli scribi e dei farisei nella sinagoga è dovuta alla loro incapacità di vedere nell’opera di Gesù l’opera stessa di Dio. Stanno a recriminare la non osservanza di un precetto e non riescono a lodare Dio per un uomo guarito da Gesù.            Quando la fede non è più un rapporto d’amore diventa solo osservanza di leggi, commercio (se osservo quel comandamento, merito un premio), oppure diventa un dimenticarci dei fratelli e si arriva all’assurdo di pensare che per una legge religiosa un malato debba rimanere tale, quando non amiamo veramente, questo rischio c’è anche per noi! 

           Quando il nostro cuore non sa più commuoversi davanti al dolore di un altro, quando non sentiamo la gioia per il bene che qualcuno ha ricevuto, quando solo il calcolo conta per noi, diventiamo inguaribili. Neanche Gesù può nulla con un cuore rattrappito, chiuso in se stesso.

           In queste situazioni perché non ricorrere all'aiuto materno della Madonna?

           Maria ci svela la radice della mancanza di pace e di amore. Se in noi non c'è pace e non coltiviamo l'amore, non contano le belle parole e le maschere d'oro: la nostra religiosità̀ è un castello in aria. 

           Se non c'è preghiera siamo nell'agitazione perché́ ogni cosa negativa ci sconvolge. Se non abbiamo la fede, siamo nel buio e non possiamo vedere il fratello da amare, ma solo noi stessi.

           Ma Maria non ci lascia soli. Anzi ci attende a braccia aperte per sottrarci al nostro egoismo. 

           Chi sta tra le braccia materne se non i piccoli? Facciamoci piccoli e stringiamoci a Lei come i bimbi che si stringono alla mamma quando hanno paura degli estranei.

           Senza di Lei siamo tentati nelle piccole cose per poi cadere nelle grandi fino al venir meno della nostra fede. 

           Perciò̀ abbiamo bisogno di una corazza impenetrabile con cui proteggerci: il Suo Cuore Immacolato. Ad esso consacriamoci ogni giorno; entriamo in esso per pregare degnamente e saremo felici. E avremo la benedizione e la pace di Dio. 

            La Madonna, Consolatrice degli afflitti, ci aiuti a portare una carezza ai feriti nel cuore che incontriamo sul nostro cammino e a non giudicare, non giudicare la realtà personale, sociale, degli altri perché Dio ama tutti! Non giudichiamo, lasciamo vivere gli altri e cerchiamo di avvicinarci a tutti con amore.

           Guarda a noi Signore e guariscici perché siamo ancora un po' tutti avari nel donare, gretti nel condividere, parsimoniosi nel dare il perdono, distratti nel vedere le necessità degli altri, abitudinari nella religiosità, usiamo il contagocce persino nella preghiera.

           Guarda a noi e guariscici, o Signore, perché non solo le mani ma soprattutto i cuori si sono rattrappiti, sono troppo contenuti, incapaci di slanci, paurosi di rendersi vulnerabili donando sentimenti e amore, incrostati nelle formule, incapaci di tenerezza e di sorriso e spesso persino incapaci di piangere. 

           Abbi pietà di noi che, come i farisei di allora, non solo non siamo capaci di gioire per il miracolo che ha reso nuovamente abile una mano, ma siamo addirittura gelosi del tuo amore per i peccatori, dimenticandoci che peccatori siamo anche noi.

           O Maria, Madre di Dio, conservami un cuore di bambino, 

puro e limpido come acqua di sorgente. 

Ottienimi un cuore semplice, che non assapori la tristezza; 

un cuore grande nel donarsi e tenero nella compassione; 

un cuore fedele e generoso che non dimentichi nessun beneficio 

e non serbi rancore per il male.  Forma in me un cuore dolce e umile, un cuore grande ed indomabile che nessuna ingratitudine possa chiudere  e nessuna indifferenza possa stancare; 

un cuore tormentato dalla gloria di Gesù Cristo, 

ferito dal Suo amore con una piaga che non rimargini se non in Cielo. Amen.

 

12 SETTEMBRE

IL SANTISSIMO NOME DI MARIA

 

"NE SCELSE DODICI AI QUALI DIEDE IL NOME DI APOSTOLI". (Lc. 6,13)

         Sovente, leggendo la lista dei dodici, mi risulta facile ‘allungarla’. Per esempio, già nelle comunità primitive avevano capito che il termine ‘apostolo’ (cioè: inviato) non era riservato solo a quelli della lista, infatti anche Paolo e Barnaba vengono chiamati così. 

         E’ allora bello pensare che la mia fede di oggi si fonda sulla base della parola e della testimonianza degli apostoli, sul sangue dei martiri, sulle preghiere e le opere dei santi, quelli autenticati dalla Chiesa e quelli autentificati dalla fede e da Dio stesso.

         E scopro (non solo in quanto prete) che anch’io sono chiamato personalmente da Gesù all’apostolato; fin dal giorno del mio Battesimo sono stato chiamato per nome da Cristo per conoscere e rivestirmi di Lui e per avere la gioia di comunicare agli altri la fede,

         Tutti siamo eredi del passato e il futuro erediterà il nostro presente. Siamo eredi della fede bimillenaria degli apostoli attraverso generazioni di cristiani che credettero in Cristo e lo seguirono al ritmo quotidiano delle sofferenze e delle speranze dell’umanità. E le prossime generazioni riceveranno questa fede da noi.

         Pertanto nessuno è insignificante nel disegno di Dio. Siamo un anello della lunga catena di trasmissione della fede; siamo soltanto un minuto, ma necessario, nell’orologio di Dio e della sua storia di salvezza. Situati a metà tra il passato e il futuro, la nostra responsabilità di credenti e di testimoni ci impone di non far spegnere la fiaccola della fede nelle nostre mani per essere capaci di passare il testimone a quelli che ci rileveranno nella corsa.

         E l’essere inviati, testimoni, apostoli, non è neanche solo ‘convertire gli altri’, insegnare loro la teologia o il catechismo, ma lasciare che la bellezza, la grandezza, la gioia di Cristo, trabocchi da noi. Il Vangelo di oggi termina con una frase riferita a Cristo che dice: "Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da Lui usciva una forza che sanava tutti". 

         Noi non siamo Gesù, ma il nostro apostolato dovrebbe essere un po’ così: gli altri dovrebbero accorgersi che in noi c’è una forza non nostra che opera la guarigione dei cuori.

         Perché anche questa sera non farci aiutare a rafforzarla da Maria nostra Madre? 

            La Chiesa consacra un giorno (12 settembre) ad onorare il suo santo Nome per insegnarci attraverso la Liturgia e l'insegnamento dei santi, tutto quello che questo Nome contiene per noi di ricchezze spirituali, perché, come quello di Gesù, lo abbiamo sulle labbra e nel cuore.  

            Voi certamente sapete che nella Bibbia, come in tutta la tradizione orientale, nel nome di una persona sono racchiusi la storia, il destino, la missione di colui o colei al quale è stato imposto quel determinato nome. 

            MIRYAM, tradotto in Maria significa: L’AMATA DA DIO.

            Questo nome, MARIA, rappresenta davvero una incredibile promessa per la Madre del Figlio di Dio e, di conseguenza, per ciascuno di noi che pronunciamo quel nome milioni di volte, nelle più svariate occasioni, liete e tristi della nostra vita.

            Siamo quindi tutti invitati, pronunciando il dolce nome di Maria, a mettere in pratica tutto ciò che la Madonna può insegnarci, cioè:

– vivere le nostre giornate con semplicità e umiltà;

– imparare a saper attendere che, nonostante alcuni segnali contrari, fioriscano nel cuore di tutti l'armonia, la giustizia, il rispetto reciproco;

– saper accogliere l’altro, indipendentemente dalla razza, religione, estrazione sociale;

– essere coraggiosi nel denunciare le ingiustizie, le prepotenze, le discriminazioni e impegnarsi in prima persona ad essere artigiani di pace e di legalità;

– essere sempre in cammino per portare negli ambienti in cui viviamo gesti di speranza e di perdono;

            Chiediamo alla Madonna che tutto ciò si realizzi nella vita di ciascuno di noi, nelle nostre famiglie, nella storia della nostra città.

            Alla nostra Madre Maria domandiamo di insegnarci a non avere paura di spendere la nostra vita per Gesù e per il Vangelo.

            Siamo certi che Maria non farà mancare la sua protezione a tutti noi. 

 

 

13 SETTEMBRE

S. GIOVANNI CRISOSTOMO

           

           Abbiamo appena ascoltato la pagina delle Beatitudini nella versione tramandataci dall'evangelista Luca.

            Gesù ha davanti ai suoi occhi quella folla enorme che attende da lui una parola vera. E Gesù non si tira indietro. Subito mostra loro la sua via di felicità. Non è la stessa via di felicità che il mondo indica agli uomini e alle donne, una via che si rivela spesso fallace e ingannatrice. 

            Gesù non spende molte parole. Ne bastano quattro. Quattro beatitudini, ben delineate e chiare. Egli annuncia ai poveri, agli affamati, agli abbandonati e agli assetati di giustizia che Dio ha scelto di stare accanto a loro. La sua vicinanza e quella dei discepoli sarà per loro il segno di una gioia grande. 

            Essi, sino ad ora esclusi dalla vita, saranno i privilegiati, i preferiti di Dio. Certo, a noi credenti è affidato il gravissimo e affascinante compito di far sentire loro l’amore privilegiato di Dio. 

            Al contrario, con quattro parole, Gesù minaccia tristezza per i ricchi e per i potenti. Essi che cercano la felicità solo per se stessi, saranno abbandonandoli al destino triste di questo mondo.

           Ma come emerge il volto di Maria in questo discorso della montagna? Cerchiamo di presentarne alcuni tratti:

           Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio: Nel suo canto del Magnificat Maria, l’umile serva in cui il Signore ha fatto grandi cose, primeggia tra gli “umili” e i “poveri del Signore”, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza. La sua apertura e disponibilità totale l’hanno resa «piena di grazia», degna d’essere «proclamata beata da tutte le generazioni».

           Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati: «Fame e sete della giustizia» allude all’anelito, la passione e l’impegno serio per le cose di Dio, che ha il primato assoluto. Come il Figlio, Maria viveva in continua tensione alla piena realizzazione del piano di Dio su di lei e su tutto il mondo per mezzo di lei, anche se spesso questo piano le si presentava incomprensibile. Lei ha sempre rinnovato il suo si: «Avvenga di me quello che hai detto» nell’accettazione della volontà di Dio in sé.

           Beati voi che ora piangete, perché riderete: Maria, madre dolorosa, ha sperimentato la spada che le trafigge il cuore e sotto la croce ha sofferto in profonda unione con suo Figlio. Lei conosce bene il mistero di morte e risurrezione, di dolore e gioia. È presente in mezzo al piccolo gruppo disorientato dopo il Venerdì santo con il suo sostegno. Accompagna la comunità che vive il vuoto, il dramma dell’«afflizione» ma che si apre alla «beatitudine» promessa. Maria è l’addolorata e insieme la consolatrice degli affitti.

           Beati voi quando gli uomini vi odieranno... Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli: Maria visse la beatitudine dei perseguitati in intima unione con Gesù nella sua opera redentrice, «soffrendo profondamente con il suo Unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di lui. È «Regina dei martiri», dal cielo non cessa di sostenere coloro che rimangono fedeli a Dio fino a dare la vita.

           In Maria queste beatitudini evangeliche hanno già raggiunto la realizzazione più piena, più perfetta, più bella.     Guardando a lei si comprende quali tesori di gloria Dio riserva alle sue creature umane. Maria anticipa la realtà del nostro futuro. Il suo volto, perfettamente simile a quello di Cristo, svela come possono diventare e dove possono arrivare l’uomo e la donna, se si aprono al mistero di Dio e accettano di camminare seguendo Cristo e il suo Vangelo.

           Concretamente come possiamo vivere noi queste beatitudini aiutati da Maria?

           Se avremo il coraggio dell'autenticità quando falsità e compromesso sono più comodi: la verità ci renderà liberi. 
           Se costruiremo la nostra vita nel rispetto e nell'attenzione ai fratelli in un mondo malato d'egoismo: daremo testimonianza di amore. 

           Se, in una società rovinata dall'odio e dalla violenza, sapremo accogliere e amare tutti:  saremo costruttori e artigiani della pace.

           Se sapremo rimboccarci le maniche davanti al male, al dolore, alla disperazione: saremo, come Maria, presenza amica e discreta che si dona gratuitamente.

            Se avremo coraggio di dire in famiglia, nella scuola, tra gli amici che Cristo è la certezza: saremo come Maria sale dell

 

GIOVEDI' 14 - ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

 “FATTI UN SERPENTE E METTILO SOPRA UN’ASTA; CHIUNQUE DOPO ESSERE STATO MORSO LO GUARDERA’, RESTERA’ IN VITA”. (Num. 21,8)

            Leggendo questo racconto dell’Antico testamento non possiamo non notare che Dio si comporta in un modo apparentemente strano. Egli davanti ai serpenti che mordono e uccidono gli uomini del suo popolo non risolve la situazione miracolosamente facendo sparire i rettili, ma dona loro un rimedio per rimanere in vita nonostante i morsi velenosi. 

            In fondo è questo il senso più profondo del mistero della croce: Dio non risolve i nostri problemi in maniera miracolosa o eclatante, come se fosse un mago. Piuttosto Egli ci dà la forza di guarire dal veleno della disperazione, dell’odio e della malattia per mezzo della contemplazione della croce. 

            Qual è il potere della croce, se basta guardarla per trovare forza? In essa, è scritto tutto l’amore che Dio ha per noi, e questo ci dà coraggio nel nostro cammino.

            Penso che per molti di noi sia un'esperienza abbastanza abituale quella di mettersi davanti a un crocifisso e lasciare che la croce parli e il nostro cuore entri in comunione con il Crocifisso.

            Vedo in quella croce innalzata da terra il punto di congiunzione tra Dio e l'uomo (il compimento totale dell'Incarnazione) e tra l'uomo e Dio (la pienezza della Redenzione). E' la chiave che riapre quella porta chiusa a causa di un altro albero (quello del bene e del male) con un frutto ben più "bello a vedersi e gustoso a mangiarsi". Qui c'è un frutto arrossato di sangue, appeso e offerto perché chiunque ne possa gustare ed essere risanato.

            Vedo la croce come patibolo, segno dell'uomo che, per salvaguardia del suo potere e dei suoi interessi mascherati di giustizia, ha eretto patiboli, condannato, ucciso, appeso, impiccato. L'uomo che ha usato del dono della propria intelligenza per studiare accurate torture, sofisticati strumenti di morte, pulizie etniche, uccisioni di massa, morti bianche… Ebbene, questo segno di male è divenuto, per la misericordia di Dio, il segno del perdono, della salvezza. 

            Fin da bambino siamo stati segnati da esso, ci siamo 'rivestiti' della croce, in esso abbiamo benedetto e rinnovato il tempo come dono di ogni giorno, esso ci ha garantito il perdono di Dio.

            Vedo in quella croce le sofferenze di tutti gli uomini della terra, ma soprattutto le vedo nelle piaghe del Dio crocifisso e lì contemplo insieme il dolore e l'amore: due cose che sembrano lontane, in Lui sono diventate una cosa sola.

            Vedo quel corpo martoriato del re di pace e ripenso ai corpi martoriati da ogni guerra e inimicizia sulla terra. Vedo quelle mani immobilizzate e quei piedi inchiodati e penso a tutti i disabili e agli impediti di questa terra.

            Mi sembra di sentire le voci ai piedi di quella croce, da chi sogghigna, a chi chiede misericordia, e vedo quel petto ferito e quel cuore aperto. Il mio Dio che morendo promette: "oggi sarai con me in Paradiso" e che, risorto mantiene il suo petto aperto, pronto ad accogliere per sempre. In quel cuore aperto io e voi possiamo trovare rifugio, tenerezza, calore, perdono.

            Dopo l’affronto ricevuto, Dio avrebbe potuto abbandonarci, stancarsi di noi, avrebbe potuto dirci: "Ve lo siete voluto, arrangiatevi", ha bussato alla nostra porta, ha parlato la nostra lingua, si è fatto nostro compagno di viaggio, si è caricato del nostro male ed ha perfino accettato che l’egoismo, le paure di noi uomini inchiodassero Lui e il suo amore ad una croce per dirci: "Ti voglio bene!

            Tutta la storia della salvezza è storia di questo amore fedele, tenace da parte di Dio. Se vogliamo essere coinvolti in questa storia di salvezza, dobbiamo credere all’amore di Dio, affidarci a questo amore anche nei momenti più bui e difficili, guardare con più insistenza e con più passione al Cristo crocifisso: Egli non è venuto per  giudicare e per condannare, ma per salvare.   Il crocifisso ci insegna a smascherare gli idoli di questo mondo, i potenti di questo secolo, i soprusi e le ingiustizie, per far risplendere la luce e la verità del Padre su tutte le cose. 

            Tutti in casa abbiamo un crocifisso. Fermiamoci ogni tanto davanti a quella croce anche senza dir niente. Quella croce che può sembrare sconfitta, scandalo è la chiave per entrare nel cuore di Dio.

Ci aiuti Maria con la sua fede, la sua umanità e il suo amore a stare come lei accanto alle infinite croci del mondo dove Cristo è ancora crocifisso nei fratelli, per portarvi conforto e condivisione.

VENERDI 15 SETTEMBRE: ADDOLORATA

STAVA PRESSO LA CROCE DI GESU’ MARIA SUA MADRE”.

            La festa di oggi facendoci vedere il dolore di Maria ai piedi della croce ci aiuta a capire come Madre e Figlio siano una cosa sola nel vivere il mistero della Redenzione. 

            Sotto la croce Dio tace. Non c’è nessun appiglio, nessuna speranza umana che possa consolare la madre per la morte del Figlio. Tutte le promesse di Dio sono miseramente naufragate su quel legno duro ed ostile dal quale pende il Figlio innocente. 

            Nel cuore di Gesù, ma anche nel cuore della Madre sua e nostra tutto il dolore del mondo degli innocenti e di coloro che subiscono ingiuste condanne, trovano posto. 

            E come Gesù non scende dalla croce neppure Maria scappa. Rimane lì con tutta se stessa. Perfino quando Dio sembra essersi dimenticato di lei. Maria non fugge perché sa che Egli adempirà le sue parole. Con il Figlio e con la Madre anche la nostra speranza verrà esaudita.

            Gesù fu protetto dalle braccia e dal cuore di Maria quando era piccolo, ma ora le braccia e il cuore di Maria non lo hanno protetto dalla cattiveria mascherata di religiosità, dei ‘buoni’ che lo ha condannato come bestemmiatore e lo ha messo in croce. Anzi, il cuore di Maria, pur ferito, non si sarebbe mai opposto alla volontà di Dio.

            Ora le braccia di Maria sono tese verso quel corpo che lei gli ha formato e che ora è un corpo martoriato, sfigurato, sanguinante, percorso dai brividi e dalle convulsioni che ne preludono la morte. 

            E Cristo, che come ogni uomo nell’approssimarsi della morte invoca il nome della madre, non può staccare le sue braccia da quel legno per trovare un rifugio sicuro sul cuore di Maria. Allora Gesù fa qualcosa di più per la Madre e per noi: ce la regala. Gli avevano tolto tutto, perfino i vestiti, gli rimaneva sua Madre: ci dona anche Lei.

            Da quel momento Maria cominciò ad amare ciascuno di noi con lo stesso amore con cui ha amato il Figlio divino perché ha compreso e provato a quale prezzo Egli ci riscattava dal peccato, rendendoci figli del Padre e fratelli suoi.

            Con una simile mamma al fianco, ora possiamo camminare sereni e sicuri, come ogni bambino vicino o tra le braccia di sua madre.

            Ricordiamoci di questo nel nostro quotidiano, ci aiuterà a rimanere sereni anche in mezzo alle tempeste della vita. Ci aiuterà a ricorrere spesso a Lei sia nei momenti belli che in quelli grigi della nostra giornata. Abbiamo una Madre che sa che cosa significa gioire e soffrire, che è passata attraverso la Grazia e attraverso il buio del mistero, che non ha capito tutto ma ha conservato tutto nel suo cuore, una mamma che ha amato immensamente Gesù e che ama dello stesso amore ciascuno di noi perché redenti dal suo sangue.

            Proviamo oggi a pensare anche ad un’altra cosa: Gesù ci ha anche affidato sua Madre, cioè noi poveri uomini abbiamo il compito di portare nella nostra vita Maria, in Lei noi portiamo la sua maternità, perché Cristo nasca al mondo, portiamo la sua umiltà perché il Vangelo sia il gioioso annuncio ai poveri, portiamo il suo dolore perché ogni dolore venga redento, portiamo la sua purezza perché il male sia vinto. 

            Maria porta noi a Gesù ma noi dobbiamo portare Maria, e in Lei il mistero di Cristo, al mondo intero. Portare Maria non è certo un peso ma una gioia. Ai piedi della Croce, nel dolore, Maria ci ha generati ma proprio per questo, essendo suoi figli, noi dobbiamo manifestare al mondo i tratti di nostra Madre.

            Essere madre è uno dei doni più belli che la vita possa dare ad una donna, ma anche uno degli atti più impegnativi che le possano essere richiesti. 

            Pensando oggi a Maria Addolorata, scorrono davanti a me volti conosciuti di mamme. La mamma che ho accompagnato all’obitorio dell’ospedale perché il suo bambino di pochi mesi era morto, le mamme addolorate, angosciate, qualche volta disperate che sono venute a piangere i figli drogati che magari le avevano pure picchiate, la vecchietta sola che da anni non vedeva più il suo figlio che abitava a pochi isolati da lei, le mamme preoccupate per la salute fisica o morale dei figli... 

            Maria, Tu hai avuto il cuore trafitto dalla stessa lancia che entrava nel petto del cuore di tuo Figlio crocifisso; Tu hai il cuore trafitto per noi, figli affidati a te ai piedi della croce; guarda alle tante sofferenze specialmente delle mamme e consola, rinnova la speranza, trasforma il dolore in grazia: il tuo dolore e il dolore di tante mamme generi ancora vita.

OMELIA 24 DOMENICA X ANNO 2023- SABATO 16 prefestiva

 

Pietro, sempre lui, si avvicina a Gesù con una di quelle domande che qualche volta ci “vengono” quando incontriamo determinate persone: “Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello che pecca contro di me?”

Ditemi, chi di noi non ha una persona concreta che, sistematicamente, si diverte ad umiliarci, ad offenderci, a parlare male di noi, che ci ha rubato un qualcosa, che ci ha fatto del male seriamente?

Un parente, un amico, una persona che già tante volte abbiamo perdonato, dimenticato e che eppure continua.  

Diciamoci la verità, il nostro agire a riguardo è fortemente legato alla legge del taglione: Occhio per occhio dente per dente, cioè, quello che l’altro ti ha fatto, fallo anche tu a lui.

I più “generosi e buoni” confondono (volutamente) il perdono con l’indifferenza, tenendo lontano certe persone moleste.

L’espressione più comune a riguardo è questa: “Non lo odio, ma per me è come se non esistesse!”  

Nel brano del Vangelo un Re condona un debito enorme, diecimila talenti, ad uno dei suoi servi che, disperato, lo supplica.

Questo servo aveva un conoscente che gli doveva dei soldi (una somma piccola): cento denari, ma lo afferrò, e lo soffocava e diceva, -Paga quel che devi-”.

Con Gesù la suonata cambia: “Quello che Dio ha fatto a te; tu fallo all’altro”.

Dobbiamo assolutamente capire dove questa Parola di Gesù vuole incarnarsi in noi, nella nostra vita, non vederla riflessa in situazioni che non ci appartengono, altrimenti rischiamo di ridurre il cristianesimo ad una bella filosofia.

Nella vita non ci sono solo perdoni su fatti clamorosi, storici…, ci sono quelle situazioni di tutti i giorni, quelle situazioni che ogni tanto, purtroppo, sfociano in tragedie familiari, in cui letteralmente la mente si stordisce minata dall’odio, dal desiderio di vendetta. 

Ad esempio, il perdono nella vita di coppia. La maggior parte dei matrimoni si sfasciano per l’incapacità di perdonare anzi, su certi argomenti, il perdono non passa neppure per la mente. 

Perdonare o separarsi?

Eppure, Cristo anche dalle nostre ceneri quotidiane, dai nostri fallimenti, potrebbe ricostruire alla grande.

Magari uno quando parla di rivoluzioni pensa al “Che Guevara” o a chi ha condotto un popolo al cambiamento.

La rivoluzione più grande della storia è proprio il Perdono cristiano e credetemi ci vuole coraggio a perdonare e non basta solo quello…

La Chiesa, tutti noi cristiani, siamo chiamati ad avere il coraggio di annunciare e testimoniare questo amore, e la testimonianza più vera è quella di dare l’esempio.

Per questo anche le nostre parrocchie devono diventare esempi viventi di perdono, la presenza di un cristiano si riconosce dal perdono.

Dal Perdono il cristiano trae la vera pace, dal perdono l’umanità può ritrovare la speranza. 

Il cristiano è chiamato a saper ascoltare chi vive in difficoltà, a saper consigliare; quante volte con il nostro parlare abbiamo “acceso dei fuochi” fra colleghi d’ufficio, fra amici, nei condomini, impedendo poi una riconciliazione, portando le situazioni a degenerare?

Ma il vangelo oggi ci insegna un altro aspetto fondamentale del perdono cristiano: non bisogna solo saper perdonare ma anche saper chiedere perdono.

Anche quando siamo chiamati a perdonare abbiamo qualcosa da farci perdonare.

Non tutte le “offese che riceviamo” sono senza motivo, non sempre siamo “anime innocenti”, vi pare?

Di fronte ai nostri fratelli “nemici” mettiamoci un po’ in riflessione e ricordiamo tutte le volte che siamo stati PERDONATI DA DIO…

In questa nostra festa dedicata a Maria potremmo chiedere a lei l’aiuto e la forza per imparare la strada verso il perdono.

Tutti noi, insieme ai poveri della terra, potremo cantare con Maria: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote».

 

 

 

OMELIA 24 DOMENICA X ANNO 2023-1

 

            C'è una cosa strana in quello che abbiamo letto e comincio ad attirare su questo la vostra attenzione. Pietro è andato da Gesù e ha domandato: "Quante volte devo perdonare" e si è sentito rispondere: "70 volte 7". 

            Nella parabola invece il padrone perdona una sola volta. Avete sentito: il padrone fa i conti con un servo, gli condona il debito, il servo se ne va e incontra l'altro servo; non sa perdonare, allora lo dicono al padrone e lo riportano davanti a lui. 

            Quante volte il padrone deve perdonare? "70 volte 7" e invece non perdona nemmeno un'altra volta, non arriva a due. Perché? Cosa è successo qui? Perché quest'uomo non può essere perdonato? Perché il perdono non si è realizzato, perché il padrone non ha potuto perdonare a questa persona?

            Noi quando parliamo di perdono ci riferiamo in genere a qualche avvenimento, a qualche fatto: qualcuno mi ha offeso e io cerco di dimenticare questa offesa; qualche volta, magari con sforzo, cerco di dimenticare anche la persona che mi ha offeso, ma spesso non riesco a cancellare questo fatto e rimane nel cuore il rancore, un po' di astio, l'offesa ci brucia e non riusciamo a dire: "ho perdonato, ho dimenticato". Vorremmo farlo. 

            Quante volte mi è successo di ascoltare, confessando qualcuno: "Padre non riesco a perdonare, non riesco a dimenticare!". "Quella persona mi sta sempre davanti agli occhi, vorrei tanto non ripensarci più e non ci riesco". Magari quella persona ormai se ne è andata lontano eppure rimane in mente: quasi un'ossessione.

            A volte trovo nella gente un'esigenza di vendetta. Anche la nostra legge prevede che per ogni colpa ci sia un'espiazione: un uomo ha rubato, merita due anni di galera, un uomo ha ucciso merita l'ergastolo e noi pensiamo che quell'uomo possa espiare la sua colpa facendo lunghi anni di carcere.

            Ecco, questo è un po' quello che secondo noi conduce al perdono. Ma tutta la nostra attenzione è messa sui fatti, sulle colpe, sulle cose: per Dio è diverso, a Dio interessa non la tua colpa, ma te. Dio non si preoccupa di quello che io ho fatto, ma di me, perché Lui non vuole dimenticarmi, può dimenticare quello che io ho fatto, ma non può dimenticare me.

            Capite, questa è la prima, radicale differenza e dovremmo sempre tenerlo presente, quando parliamo di perdono: per noi, spesso, il massimo del perdono è dimenticare, per Dio il massimo del perdono è ricordare, avermi presente fino in fondo, ma diverso, ma rappacificato, ma convertito, ma ritornato sulla via del bene: a quel punto non serve una lunga espiazione. 

            Perché il nostro rapporto con Dio, non è fatto di tante colpe, che ogni tanto si cancellano, come le macchie su un quaderno. A volte capita di incontrare qualcuno che concepisce così la confessione: si fanno dei peccati, poi una bella sciacquata... e tutto ricomincia come prima, tutto rimane lo stesso. 

            Dio non vuole dimenticare - non i miei peccati, li ha già dimenticati - non vuole dimenticare me, sono suo figlio, Lui ha troppo a cuore il fatto che io ritrovi la via della vita, e non perché ne tragga qualche interesse, ma per la gratuità del suo amore.

            Quando io mi metto davanti a Dio, Lui mi perdona sempre. Ma cosa significa? Che allarga le braccia, che non fa conto di quello che io ho fatto, che vuole - lo vuole per me, per ciascuno di noi. 

            Il pensiero ora si volge a Maria che chiamiamo anche Madre della Misericordia. La dolcezza del suo sguardo ci accompagni perché tutti possiamo riscoprire la gioia della tenerezza di Dio.

            Lei ha custodito nel suo cuore la divina misericordia in perfetta sintonia con il suo Figlio Gesù.

            Presso la croce, Maria insieme a Giovanni, il discepolo dell’amore, è testimone delle parole di perdono che escono dalle labbra di Gesù. Il perdono supremo offerto a chi lo ha crocifisso ci mostra fin dove può arrivare la misericordia di Dio. 

            Maria attesta che la misericordia del Figlio di Dio non conosce confini e raggiunge tutti senza escludere nessuno.

            Maria vede suo Figlio che offre tutto Sé stesso e così testimonia che cosa significa amare come ama Dio. In quel momento sente pronunciare da Gesù parole che probabilmente nascono da quello che lei stessa gli aveva insegnato fin da bambino: 'Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno'.          In quel momento, Maria è diventata per tutti noi Madre del perdono. Lei stessa, sull'esempio di Gesù e con la sua grazia, credo sia stata capace di perdonare quanti stavano uccidendo il suo Figlio innocente.

OMELIA 24 DOMENICA X ANNO 2023-2

 

            Uno dei segni del tempo che passa, dei giorni che si sommano ai giorni, dei capelli che diventano bianchi, è che si diventa insofferenti verso tante cose. 

            Tra queste ci sono le parole, i discorsi che mi appaiono vuoti, quando non addirittura falsi e ricchi di ipocrisia. Una di queste parole è proprio la parola "perdono". Mi è capitato più volte di dire che, se dipendesse da me, la toglierei dal vocabolario cristiano.             Qualche esempio, per aiutarvi forse a riflettere, a domandarvi cosa può significare a volte chiedere perdono, perdonare, essere perdonati.

            Mi capitava qualche giorno fa di ascoltare la notizia di un uomo, che aveva investito con la sua auto un bambino e non si era fermato; poi lo avevano cercato, finalmente preso; e in carcere aveva scritto una lettera ai genitori del bambino, per chiedere perdono per quello che aveva fatto. 

            Che significa in questo caso chiedere perdono? E che cosa può significare per quei genitori concedere il perdono? Che senso ha? non vi sembra una parola del tutto vuota? Chi chiede perdono, è veramente cambiato dentro? Se gli dovesse capitare, un'altra volta si fermerebbe ad assistere il bambino? E per quei genitori... che significa perdonare? La richiesta di perdono non è un altro colpo alla loro vita? Se dicono: non perdono... non hanno più diritto di sentirsi cristiani? E se perdonano: che senso ha? Chi può ridare loro il figlio?!

            Un altro esempio: è capitato anche a voi di ascoltare, in questi anni gli ultimi Papi che, a nome della Chiesa, chiedevano perdono. Li ascolti una volta, magari dici: "Oh che bella cosa! Finalmente nella Chiesa chiediamo perdono per gli errori del passato". Li ascolti due volte, tre volte e ti domandi: "Ma che senso ha?". Che senso ha chiedere perdono se non si riflette sul perché di quegli errori; senza magari evitare di ripeterli ancora oggi! Che senso ha chiedere perdono per gli errori del passato, quando i protagonisti non ci sono più, o quando questo non serve a cambiare le situazioni?!

            Forse bisognerebbe fare il bilancio di questo secolo e fare l'analisi dei tanti crimini commessi dai cristiani negli ultimi cento anni: i campi di concentramento, lo sterminio di milioni di persone... senza che coloro che andavano a messa la domenica si accorgessero di nulla! senza che preti, vescovi, cardinali e la maggior parte del popolo cristiano avessero alzato la voce: contro gli stermini, contro l'olocausto!

            Se facessimo grandi cerimonie di pentimento, se anche, come nei tempi antichi, andassimo per le strade d'Europa battendoci le spalle con verghe di ferro... a che servirebbe se non cerchiamo di capire che cosa è accaduto? perché della gente che legge il Vangelo ogni domenica, non ha capito nulla, anzi ha dato il proprio consenso alle cose più efferate successe?!

            E che senso ha, allora, continuare a fare i nostri canti, le grandi assemblee, gli applausi, senza tentare di capire e cercare il modo che quelle cose non accadano anche oggi? 

            Non succederà che nel prossimo giubileo del 2025, qualcuno andrà in giro a chiedere perdono per quello che è accaduto nella vicina Jugoslavia o per quello che sta succedendo oggi in Russia e in Ucraina, senza che noi siamo stati in grado di intervenire, di fare nulla? Forse non sarebbe bene che non chiedessimo più perdono? che guardandoci negli occhi ci chiedessimo seriamente se si può fare qualcosa?

            Io vi ho proposto - ma l'ho fatto apposta - problemi grandi, che sfuggono alla vostra capacità di intervenire. Ma questi discorsi valgono anche per i piccoli problemi di ogni giorno Quando avete detto a vostro figlio: ti perdono, chiedetevi: che significa? che ho detto? che vuol dire?!... Quando dite a vostra moglie: Ti perdono, o quando le dite: mi devi chiedere perdono... che vuol dire?! se non cerchiamo di capire, di incontrarci, di guardarci negli occhi, di ritentare di camminare insieme!

            Una proposta, inascoltata: cancelliamo la parola perdono! non usiamola più: è spesso solo ipocrisia. Cerchiamo di capire come la nostra vita può essere più ricca di attenzione, di tenerezza, di comprensione! Tentiamo di parlarci, anche delle cose di ogni giorno: forse qualcosa riusciremo a cambiare. 

            Altrimenti continueremo a chiedere perdono al Signore ogni mattina, a chiedere perdono al Signore ogni sera. Siamo abituati a batterci il petto, a chiedere perdono... ma poi non cambia mai niente! Perché è difficile pensare, è difficile parlarsi, è difficile riprendere la strada. Ma son proprio queste cose difficili che hanno senso! Al