Francesco Beschi, vescovo di Bergamo

Servire la vita, servirla insieme

Lettera circolare 2023-2024

 

 

Introduzione

In questi anni, gran parte del mio tempo è occupato dalla visita pastorale in forma di pellegrinaggio: ad oggi, sono a metà del percorso, che si concluderà nel 2026. La figura del pellegrinaggio e quella del vescovo pellegrino, rappresentano un proposito ed uno stile: riconoscere il Signore presente nelle comunità parrocchiali e restituire questo riconoscimento, alimentando la fede in Lui e la gioia del suo Vangelo.

Cresce la constatazione che l’aspetto più apprezzato e più generativo, è quello della “vicinanza”: la vicinanza del vescovo alle parrocchie e ai presbiteri e insieme quella dei parrocchiani, dei presbiteri e della comunità nei confronti di tutti coloro vivono quella porzione di territorio che intitoliamo “parrocchia”.

Si tratta di sperimentare e rinnovare la consapevolezza di una fraternità ospitale e prossima, accogliente e premurosa, che avvertiamo particolarmente necessaria in tempi di solitudini crescenti e di abbandoni sempre in agguato.

Le piccole parrocchie, rappresentano spesso l’unica esperienza comunitaria aperta a tutti e quelle più grandi assumono il valore di “segno” in una società predisposta all’indifferenza e al ripiegamento egoista.

La caratteristica emergente di queste comunità è l’apertura a tutti, che impegna in maniera non semplice all’accoglienza di tutti. Se questa apertura universale espone a molti fraintendimenti e fatiche, l’esercizio dell’accoglienza si rivela tanto impegnativo, quanto significativo: l’accoglienza universale è un valore evangelico che spesso esige una testimonianza eroica.

Non meno presente è la cura premurosa verso i deboli: in modo particolare anziani e malati, ma anche vecchi e nuovi poveri. E’ una premura testimoniata da presbiteri e persone generose, alle quali, a volte, viene delegata, pur sostenendola con mezzi e beni, offerti con abbondanza.

L’aspetto che merita maggiore attenzione è quello della testimonianza fraterna delle persone che vivono la comunità, soprattutto di coloro che si prodigano a sostegno delle numerose attività parrocchiali. Il funzionamento delle strutture e dell’organizzazione parrocchiale, rischia, a volte, di prevalere sulla qualità delle relazioni di coloro che lo garantiscono, con il pericolo di perderne il senso.

Un pericolo che trova riscontro in una distanza crescente tra la vita della parrocchia e quella dei parrocchiani, che alimenta un senso di frustrazione, non colmato dalla buona riuscita di una proposta o di un evento parrocchiale.

Il criterio, che non vuol essere slogan, di “servire la vita dove la vita accade”, rappresenta la necessità di tessere il rapporto tra fede e vita, vangelo ed esistenza, comunità cristiana e mondi vitali.

La parrocchia ha ancora risorse per lavorare a questa tessitura, ma non può farlo ripetendo modelli che la rappresentavano in condizioni profondamente diverse. La scelta preferenziale delle “terre esistenziali” non può essere attribuita soltanto ad alcuni organismi della comunità cristiana, ma deve ispirare le scelte e le iniziative pastorali che quotidianamente contrassegnano la vita parrocchiale. 

La verifica che siamo chiamati a compiere è provocata da alcune domande: quanto cresciamo in fraternità in ciascuna delle attività parrocchiali? Adottiamo questo criterio come misura della loro sensatezza? L’accoglienza che offriamo è la rappresentazione di un valore evangelico o semplicemente la passiva e a volte subita risposta a bisogni di varia natura? La premura per i più deboli è semplicemente assistenziale o li riconosce come significativa presenza evangelica che dà forma alla comunità? La proposta della Parola di Dio, la celebrazione dei sacramenti e, particolarmente dell’eucaristia domenicale, le opere, le attività e gli eventi sostenuti e promossi dalla parrocchia si intrecciano con la vita delle persone e le raggiungono nel profondo? Siamo capaci di esercitare il criterio del “riconoscimento” della presenza e dell’azione del Signore e del suo Spirito e di restituirlo con narrazioni nutrite dalla speranza che ne scaturisce? Quali tentativi, quali scelte possono corrispondere a questi interrogativi e con quali modalità possiamo individuarle e attuarle?

E’ proprio nel contesto di questo orizzonte che si colloca la revisione delle Comunità Ecclesiali Territoriali, a partire dal settembre dell’anno pastorale 2023 – 2024.

 

La revisione delle Comunità Ecclesiali Territoriali

La coscienza missionaria della vita della Chiesa, antica e nuova, ha la sua origine in Gesù stesso che condivide la sua missione. La comunità che viene costituita per opera dello Spirito Santo è una comunità per la missione. L’elemento di novità consiste nel fatto che la missione vede la Chiesa non solo come soggetto, ma anche come destinatario, chiamata quindi ad evangelizzare sé stessa. Questo ha delle implicazioni anche sulla revisione della Riforma della Diocesi!

Sono passati cinque anni dall’avvio della riforma di quelle strutture intermedie che erano i Vicariati locali: sono nate le Comunità Ecclesiali Territoriali, a partire dal condiviso proposito di ricercare e alimentare il rapporto tra la fede e la vita, tra il vangelo e la cultura del nostro tempo, tra la chiesa e il mondo, non solo in termini personali, ma anche comunitari e sociali. Abbiamo individuato nelle “Terre Esistenziali”, gli ambiti di vita, nei quali dispiegare questi rapporti.

Il cammino compiuto e le persone che l’hanno condiviso e sostenuto, merita ogni apprezzamento e gratitudine. La varietà dei percorsi e delle esperienze, lo ha arricchito e nello stesso tempo ha rappresentato l’impegno di interpretazione della vita delle persone e del territorio alla luce del vangelo. Non avevamo pretese risolutive, piuttosto di perseguire le finalità proposte con uno stile che privilegiasse le relazioni sulle mappature, la leggerezza delle strutture pastorali su una solidità che ne impedisse il procedere, lo sviluppo di un percorso, più che la definizione di obiettivi da perseguire.

Dobbiamo riconoscere che l’impegno per interpretare questi criteri è stato molto serio e generoso. Nello stesso tempo è progressivamente emersa una distanza preoccupante tra i mondi parrocchiali e le loro dinamiche e quelle delle Comunità Ecclesiali Territoriali. Nonostante gli sforzi, questa distanza è cresciuta fino a diventare indifferenza diffusa sia da parte di presbiteri, come da parte di laici.

Riconoscendo la bontà dell’intuizione che ha dato inizio a questa riforma, è cresciuta la consapevolezza della necessità urgente di ritessere il rapporto tra vita parrocchiale e finalità delle Comunità Ecclesiali Territoriali. Da qui la scelta di una revisione, che non stravolgesse l’intuizione, piuttosto la rafforzasse.

Le novità che si prospettano per il prossimo quinquennio, sono sostanzialmente due: l’identificazione nella figura del Vicario Territoriale e nel Consiglio pastorale territoriale dei soggetti promotori le finalità della Comunità Ecclesiale Territoriale; l’unificazione di tutte le dimensioni della vita ecclesiale e della sua missione nella figura della Comunità Ecclesiale Territoriale, mantenendo ferma e chiara la scelta fondamentale delle “Terre Esistenziali”. Questo significa che l’annuncio della Parola in ogni sua forma come pure la Liturgia e la vita comunitaria, comprese le cosiddette opere parrocchiali entrano nelle finalità, nelle competenze e nel servizio che la Comunità Ecclesiale Territoriale è chiamata ad offrire.

Tutto questo comporta la ridefinizione della composizione del Consiglio pastorale territoriale e nello stesso tempo la continuazione del cammino virtuoso delle Fraternità presbiterali, ancor meglio definite nelle loro finalità.

La Diocesi intende sostenere questa scelta riorganizzando la distribuzione degli uffici pastorali della Curia e rafforzando il servizio alle Parrocchie, alle Fraternità presbiterali e alle Comunità Ecclesiali Territoriali.

Queste scelte trovano consistenza nella misura in cui ogni parrocchia assume l’impegno di costituire, rilanciare, sostenere gli organismi di comunione: particolarmente il consiglio pastorale parrocchiale, il consiglio per gli affari economici, l’equipe educativa dell’oratorio e l’equipe delle Unità pastorali.

 

Questa revisione richiede di essere sostenuta da alcuni criteri ispiratori che padre Tomas Halìk ha rappresentato introducendo la tappa europea del Sinodo dei Vescovi.

Il criterio pasquale. Alcune letture della vita della Chiesa sembrano dimenticare la dinamica Pasquale: non solo l'Eucarestia e i sacramenti, ma tutta la vita della Chiesa è pervasa dal criterio pasquale. La novità permanente della Pasqua di Cristo è il criterio con il quale noi guardiamo la vita della Chiesa. La risurrezione di Gesù non è una risuscitazione del passato, è una trasformazione permanente. Siamo una storia continuamente trasformata, irradiata, innervata dal mistero pasquale. Anche la lettura del cammino che stiamo facendo in questi anni, deve continuamente essere irradiata dalla consapevolezza della decisività del criterio pasquale.

Il criterio del riconoscimentoIl criterio del riconoscimento non è un alibi, una forma di consolazione rispetto alla difficoltà di comunicare il Vangelo. Il riconoscimento è un esercizio caratteristico della missione della Chiesa fin dagli inizi. Oggi, come allora, fatichiamo a riconoscere il Risorto: i racconti pasquali ne sono testimonianza. La missione della Chiesa è caratterizzata dal riconoscimento del Cristo vivente che si rivela in forme, tempi, luoghi sorprendenti, spesso non connotati dall'esplicita rappresentazione cristiana.

Il criterio della sinodalità. La missione della Chiesa, che è annunciare e comunicare il Vangelo, è caratterizzata dal camminare insieme. Nel mio pellegrinaggio pastorale, soprattutto nell'incontro con i giovani, si nota una ricerca, una domanda che immediatamente non si riconosce nelle forme tradizionali della Chiesa, ma non per questo non esiste: anzi, a volte viene consegnata con la speranza di poter intercettare una risposta da parte nostra. In questo senso parliamo di una missione sinodale, una missione che non può essere intesa semplicemente come un processo unilaterale, ma appunto come un accompagnarsi, una ricerca di comprensione reciproca. Una missione all'insegna della sinodalità è un processo di apprendimento in cui non solo insegniamo, ma anche apprendiamo. In queste parole si riconosce la prospettiva delle Comunità Ecclesiali Territoriali: camminare insieme a tutti, raccogliendo domande, comunicando il Vangelo, lasciandoci interpellare e ricercando percorsi che condividiamo insieme.

Il criterio dell'inculturazione. Se è vero che la missione è essenzialmente evangelizzazione, la fecondità dell'evangelizzazione sta nella inevitabile inculturazione, l'incarnazione della fede in una cultura viva, cioè nei modi in cui la gente pensa e vive qui e oggi. Le Comunità Ecclesiali Territoriali vogliono essere una risposta in questa direzione. Dobbiamo tornare all'essenziale e questo essenziale non esiste in una forma astratta pura; la vicenda di Dio in Gesù Cristo è tutta culturalmente incarnata; si impone dunque la necessità di prestare attenzione ai mutamenti della storia e della Chiesa nella storia.

Il criterio dell'unione dinamica tra contemplazione e azione. La Chiesa deve contribuire alla trasformazione del mondo alla luce del cambiamento pasquale. Deve essere essa stessa permanentemente trasformata. La riforma è anche un cambiamento di forma di strutture istituzionali e pastorali, preceduta e accompagnata da una continua rivitalizzazione del sistema circolatorio del corpo della Chiesa, ovvero la sua esperienza del Cristo vivente: "la spiritualità". È necessario mantenere unita la dinamica virtuosa tra l'esperienza della vita ecclesiale, l'ascolto della Parola, la celebrazione dell'Eucaristia, la fraternità tra coloro che credono, la trasformazione delle strutture e il cammino condiviso con tutti.

 

Il Cammino Sinodale: la fase sapienziale

Nella introduzione all’Assemblea dei Vescovi italiani di quest’anno, il Cardinale Zuppi si è espresso con queste parole: 

Da due anni abbiamo iniziato il Cammino sinodale. Non è stato un evento ma un cammino, proprio per partire dalla vita concreta delle nostre comunità e dai segni dei tempi, cioè dai nostri compagni di strada. Il Cammino sinodale, perché funzioni, deve avvenire nellesperienza concreta, accettando limprevedibilità dellincontro, misurandosi con le domande che agitano le persone e non quello che noi pensiamo vivano, per trovare assieme le risposte. Il Cammino sinodale non corrisponde a una logica interna né mira a un riposizionamento in tono minore, difensivo o offensivo, ma alla compassione di fronte alla grande folla che accompagna sempre la piccola famiglia di discepoli. 

La nostra Diocesi si è incamminata, coinvolgendo una piccola porzione del Popolo di Dio, ma in maniera crescente e coinvolgente. I cosiddetti “Cantieri di Betania” e particolarmente il metodo indicato per realizzarli, hanno riscosso un largo apprezzamento e i frutti della prima fase, quella dell’ascolto sono abbondanti e significativi. La costituzione del Coordinamento diocesano del Cammino sinodale, rafforza l’impegno a continuare il Cammino e a coinvolgere le comunità in maniera ancora più ampia. L’attendismo di chi sta alla finestra e il distacco di chi ritiene di possedere soluzioni o dell’inutilità di qualsiasi proposta, non sono sentimenti che aprono il cuore all’azione dello Spirito Santo, primo protagonista della vita della Chiesa e di ogni sua riforma.

L’avvio della “fase sapienziale”, caratterizzata dall’esercizio del discernimento comunitario, non significa l’abbandono del criterio che ha segnato la prima fase: quello dell’ascolto. L’ascolto è premessa permanente di ogni dialogo e di ogni discernimento: non si tratta di dimettere l’ascolto, piuttosto di “Ascoltare ciò che lo Spirito dice alle Chiese”: dall’interno e dall’esterno della Chiesa.

Il Comitato nazionale per il Cammino sinodale sta elaborando le linee guida per questa seconda fase, alla luce delle sintesi che ogni Diocesi ha presentato, ma possiamo già individuare alcune tracce nelle quali ravvisare i passi da compiere e i ponti da costruire. Per le loro caratteristiche, possono essere immaginate come “costellazioni” e ne sono state individuate cinque: la missione in stile di prossimità; i linguaggi e la proposta cristiana; la formazione alla fede e alla vita; la corresponsabilità nella comunità cristiana; le strutture materiali, amministrative, pastorali e spirituali.

In queste “cinque costellazioni” possiamo individuare alcuni “spunti pastorali” che rappresentano un momento di sintesi del lavoro compiuto nella nostra Diocesi.

Innanzi tutto l’importanza delle dinamiche relazionali. Attorno a questa dimensione la convergenza è molto ampia e convinta. Si tratta della vita familiare, comunitaria e sociale in tutte le loro caratteristiche. La prospettiva è quella di una Chiesa con connotazioni familiari: quelle che già sono riconoscibili e quelle da perseguire con creatività spirituale e pastorale. 

Un secondo “spunto” è rappresentato dalla cura della vita spirituale. Si tratta di verificare la proposta della fede, l’educazione allo spirito di preghiera, la centralità della celebrazione eucaristica, l’accompagnamento spirituale e il sacramento della riconciliazione, la cura dei linguaggi dell’esperienza della fede, il rapporto tra le molteplici iniziative parrocchiali, la vita delle persone e il loro “senso spirituale”. 

Un “terzo spunto” è contrassegnato dall’esigenza di una crescita della responsabilità battesimale e di una ridefinizione della responsabilità ministeriale nella comunità. Alcune esperienze stanno crescendo in questa direzione: il cammino è impegnativo e nello stesso tempo si impone con una certa urgenza.

Un “quarto spunto”: il prete nella comunità cristiana. Lo spessore umano, la cura delle relazioni e di ogni relazione, la capacità di accoglienza e l’attenzione alla vita delle persone, sono dimensioni attese dalle persone e non appaiono secondarie nell’esercizio di un ministero al servizio del Vangelo, della grazia e della carità. Non si possono sottovalutare pure le caratteristiche umane della vita che il prete conduce, compreso l’affaticamento per responsabilità sempre più ampie e complesse e per un carico di lavoro che, in carenza di sacerdoti, diventa maggiore.

E infine un “quinto spunto”: la parrocchia, ma non solo la parrocchia. Se la figura di comunità nella forma della parrocchia, per ora rimane centrale, i cambiamenti radicali e le istanze della missione evangelica esigono un ripensamento capace di mantenne i tratti fondamentali e insieme di rappresentarli in forme più pertinenti al cambiamento. Nel contempo è necessario riconoscere una pluralità di esperienze di comunità e la necessità di coltivarne la sinergia, a fronte di forme diverse di esperienza della fede.

Il criterio guida del discernimento comunitario può essere ricondotto a questa indicazione: individuare i ponti percorribili o da edificare, tra la situazione attuale e le prospettive di una Chiesa fedele alla sua missione nel mondo contemporaneo, a partire dalle condizioni di possibilità necessarie per camminare in questa direzione. 

Per entrare nella fase del discernimento si richiede la preghiera, per riconoscere il primato della grazia di Dio sulle azioni umane e lasciarsi guidare dallo Spirito che viene dallalto e rende lascolto dellaltro scelta, condivisione, cultura. Non ci sarà vero discernimento se non sapremo continuare ad ascoltare cosa lo Spirito continua a chiederci anche in questa seconda fase del nostro percorso. Se non ascoltiamo queste parole mettendole in pratica, corriamo il rischio di un ripiegamento identitario, accontentandoci di pochi ma puri” (potrebbe essere pure la pigrizia dei pochi ma nostri”). (Card.Zuppi –  Assemblea CEI 2023)

L’icona di questa fase sapienziale è quella del vangelo dei discepoli di Emmaus, declinato sulla relazione tra cammino ed eucaristia: un cammino eucaristico e un’eucaristia in cammino. 

 

 

DUE PERCORSI

Se la revisione delle Comunità Ecclesiali Territoriali e la Seconda Fase del Cammino sinodale delle Chiese in Italia rappresentano le tracce fondamentali del prossimo anno pastorale, desidero sottoporre alla considerazione di tutti, due nuovi percorsi che la Chiesa italiana e quella diocesana stanno avviando: l’introduzione dei ministeri istituiti di catechista, accolito e lettore e l’avvio delle comunità vocazionali.

 

I ministeri istituiti

Papa Francesco, la Chiesa italiana e i vescovi lombardi aprono la prospettiva di un arricchimento della vita comunitaria, attraverso l’istituzione di tre ministeri battesimali.

La comprensione più profonda di questa scelta e dell’identità di questi ministeri, richiede almeno di approfondire il documento prodotto dalle commissioni regionali per la catechesi e la liturgia, che è a disposizione di tutti.

Ogni diocesi è invitata ad elaborare percorsi attuativi di quanto la Conferenza episcopale lombarda ha consegnato, mantenendo fermi alcuni tratti volutamente pensati come comuni e con la necessaria duttilità affinché la proposta sia il più possibile compresa ed accolta dalla realtà ecclesiale.

È perciò decisivo chiedersi come promuovere i ministeri istituiti? Si tratta di una scelta ecclesiale ben precisa, che intende valorizzare l’identità battesimale e la corresponsabilità laicale attorno a tre ambiti costitutivi della vita della Chiesa, ossia la Parola, l’Eucaristia e l’Annuncio.

In questo contesto desidero sottolineare l’importanza di questa scelta e offrire alcuni riferimenti perché la diocesi intera e particolarmente le parrocchie, possano assumerla nel modo più opportuno alle caratteristiche della nostra fisionomia ecclesiale.

Il criterio fondamentale, per comprendere e promuovere questi ministeri è rappresentato da ciò che rappresenta il ministro istituito in rapporto a tutti coloro che esercitano il medesimo ministero, senza istituzione. 

Si tratta quindi, non solo di delineare l’identità del ministro, ma quali sono i compiti che è chiamato ad assumere nel concreto contesto pastorale, soprattutto in relazione a tutti coloro che in modi diversi esercitano lo stesso ministero. Una delle “destinazioni” del ministro istituito va verso l’assunzione di responsabilità e di servizio nei confronti di tutti coloro che svolgono il medesimo servizio.

Appare inoltre evidente, che il terreno favorevole alla promozione di questi ministeri, non è immediatamente la singola parrocchia, ma le Comunità Ecclesiali Territoriali, le Fraternità Presbiterali, le Unità pastorali, come pure i territori caratterizzati dalla presenza di numerose piccole parrocchie.

Un ulteriore criterio da adottare è rappresentato dall’individuazione di reali bisogni a cui far corrispondere l’istituzione dei ministeri. Se la dimensione ministeriale della chiesa, ne rappresenta la ricchezza delle dinamiche evangeliche, la sua attuazione avviene sempre in contesti di reali bisogni.

Un’altra caratteristica da mantenere chiara, che questi ministeri attingono direttamente alla condizione battesimale del cristiano. Sono quindi da evitare in qualsiasi modo derive clericali, che se deformano il volto della Chiesa, quando sono rappresentate dal clero, ancor più deformanti diventano quando sono assunte dai laici.

Proprio per questo è la comunità insieme al presbitero e non solo il desiderio del singolo battezzato, a individuare la necessità di istituire un ministero e a discernere le persone che lo possono assumere. Qualsiasi logica di potere o di presunto prestigio è contraria allo spirito con cui si introducono i ministeri istituiti.

In questa ottica, merita considerazione il suggerimento di individuare un insieme di ministeri e di ministri al servizio delle realtà che abbiamo ricordato in precedenza, come pure la consapevolezza delle relazioni che si vanno a stabilire con i ministeri esistenti (ministri straordinari della comunione) e quelli ordinati, particolarmente i diaconi permanenti.

Il primo passo è la costituzione di una equipe diocesana, che come indica il documento delle diocesi lombarde, diventa responsabile del discernimento e della formazione dei candidati.

Nella prima parte del nuovo anno pastorale andrà attuata una certa “sensibilizzazione” delle comunità cristiane e del clero attorno a questa proposta affinché sia avvertita come buona e promettente, pur non essendo strettamente vincolante.

 

Le Comunità vocazionali

L’avvio delle Comunità vocazionali, con la denominazione de “Il Sicomoro”, è frutto dell’ampio percorso di discernimento che ha portato alla scelta di mantenere la proposta del cosiddetto Seminario Minore e dall’altra di arricchire quella vocazionale in senso più ampio. 

A partire da questa scelta, si sono coerentemente rilanciate le iniziative del Seminario rivolte a bambini, ragazzi e adolescenti, con una risposta ampia e condivisa. 

Nello stesso tempo, si è avviato un percorso nuovo che, assumendo i tratti della residenzialità comunitaria, si rivolge ad adolescenti, ragazzi e ragazze, con connotazioni evidentemente e ampiamente vocazionali.

Ora questo percorso è pronto. I dettagli sono offerti dall’Ufficio diocesano per la pastorale vocazionale, che da quest’anno è diretto dalla stessa persona responsabile dell’Ufficio per per l’età evolutiva.

Concretamente si tratta di una prolungata vita comune tra adolescenti, una settimana al mese, con delle presenze adulte che accompagnano il percorso, fatto di condivisione della vita quotidiana, di preghiera, di studio e di alcuni momenti specifici in cui approfondire il tema del futuro. È infatti la questione del domani che comincia a bussare con una certa insistenza alla porta degli adolescenti, chiedendo uno scatto di responsabilità”, di abilità a rispondere”.

Il sicomoro è un albero. È diventato famoso perché nel vangelo ci si è arrampicato un certo Zaccheo, per riuscire a vedere Gesù. Da allora, tutti sappiamo che abbiamo bisogno di un sicomoro per tenere in alto la nostra vita, per vedere ciò che passa sotto i nostri occhi e scorgerne la sua chiamata. 

 

 

DUE INFORMAZIONI

 

Siamo nell’imminenza della Giornata Mondiale della Gioventù che si terrà a Lisbona. Sono più di mille i giovani partecipanti della nostra Diocesi. Se la convinzione diffusa è che l’evento in sé, comunque affascinante e coinvolgente, non basta, altrettanto diffusa è la consapevolezza che i percorsi destinati agli adolescenti e giovani hanno trovato e possono trovare in questa esperienza, veramente unica, l’alimento per avviare e proseguire quei percorsi continuativi che sono caratteristica della nostra pastorale. Ci auguriamo che questo avvenga con la condivisione corale di questa esperienza.

 

Nel 2025 celebreremo l’anno giubilare: cominciano già da quest'anno le iniziative di preparazione in vista del Giubileo 2025, che ha come filo conduttore il tema della speranza, che inizierà con l'apertura della Porta Santa nel mese di dicembre del 2024. «Pellegrini di speranza», come si sa, è il motto del Giubileo ordinario 2025. Scrive Papa Francesco: «Dobbiamo tenere accesa la fiaccola della speranza che ci è stata donata, e fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante». La Chiesa si mette in cammino verso il Giubileo con l’intento di promuovere la centralità della preghiera, personale e comunitaria.

 

 

L’ICONA

I discepoli di Emmaus  (Lc 24,13-35)

Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto». Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l'un l'altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

 

Il Cammino sinodale e le indicazioni di questa Lettera circolare li poniamo nell’orizzonte del Vangelo di Emmaus.

Possiamo considerare l’Eucaristia come un Sinodo concentrato e il Cammino sinodale come un’Eucaristia dilatata: dunque, Emmaus come “Eucaristia itinerante”. Nell’incontro del Risorto con i discepoli di Emmaus, e nella celebrazione dell’Eucaristia, riconosciamo i criteri per il discernimento necessari per la fase sapienziale del Cammino sinodale e per l’attuazione della revisione delle Comunità Ecclesiali Territoriali.

E’ il giorno dopo il grande Sabato della Pasqua ebraica. Due, tra i discepoli, imboccano la strada verso Emmaus, allontanandosi dalla comunità. Gesù stesso li raggiunge, aprendo ad un’esperienza che diventa paradigmatica per la comunità cristiana di tutti i tempi.

Innanzi tutto, vi riconosciamo un’assemblea eucaristica che confessa i propri peccati, le proprie delusioni, le fughe da Gerusalemme, le nostalgie della vita di prima. Il Signore provoca questa consegna: “Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?”. Prendere sul serio le delusioni, i lamenti, le critiche senza giustificare e giustificarsi è il primo passo del discernimento.

Il Signore si accompagna: assume il loro passo, ascolta il loro cuore, non pretende nulla. Dialoga e annuncia: tutto ciò che lo riguarda nelle Scritture. La liturgia della Parola, l’ascolto comunitario della Parola, offre il paradigma principale per il discernimento. Il criterio sapienziale più importante è la lettura cristologica delle Scritture, la Parola di Dio alla luce della Pasqua.

L’ardore del cuore cresce lungo il cammino. Il fascino dello sconosciuto e della sua interpretazione delle Scritture, ma soprattutto l’esperienza di “una conversazione che avviene lungo la via”. Non da una cattedra, ma camminando per strada. Questa è la consegna: questo è il problema. Non è immediatamente la predicazione o la catechesi, ma la “sapienza” con cui ci si accompagna lungo la via. Quanto mutismo, quanta banalità, quanto moralismo, quanta presunzione, quanta rigidità… Anche quando si sale un pulpito, la Parola deve assumere questa connotazione itinerante, accompagnarsi alla via e alla vita degli uomini. La comunità opera il discernimento “in cammino”, mai seduta, giudicante…

L’invito diventa preghiera, implorazione: “resta con noi”. Dal cuore risvegliato nasce il desiderio. La preghiera non solo come presentazione dei nostri desideri, attese, bisogni, ma come espressione del desiderio di Dio, della sua presenza, della sua amicizia, della sua Parola, di Gesù, il Crocifisso Risorto. 

“Resta con noi” è anche espressione di un offerta: la propria casa, le proprie risorse, la propria ospitalità, la propria accoglienza al “forestiero”, all’altro: un autentico “offertorio”. Il discernimento avviene in un clima orante e accogliente, particolarmente verso quelli che non sono dei nostri.

La sequenza eucaristica e il gesto dello “spezzare il pane” conduce al riconoscimento e ci offre il criterio per esercitarlo: la rivelazione del Crocifisso Risorto nell’Eucaristia e ovunque il pane è spezzato e condiviso, nella gratuità del gesto e della vita, dentro e fuori la Chiesa. Il discernimento comunitario prende le mosse dalla condivisione del pane spezzato nel rito e nella vita. Dal corpo eucaristico il discernimento delle esigenze del corpo ecclesiale e sociale.

La scomparsa del Risorto è condizione per l’avvio della missione: un nuovo cammino verso Gerusalemme e verso il mondo. Il discernimento avviene in un contesto sempre missionario e non nel contesto di dinamiche autoreferenziali della comunità ecclesiale.

L’incontro con la comunità di Gerusalemme è decisivo per il discernimento, perché non sia una vana operazione tutta nostra: si tratta del confronto e della conferma che viene dalla Tradizione e dal Magistero: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!”

Le polarizzazioni ecclesiali non corrispondono alla dinamica di Emmaus: il Signore è lungo la via e nel cenacolo. Non solo in uno dei luoghi, non in un luogo che esclude l’altro. Non la polarizzazione, ma una nuova comunione sono il frutto di Emmaus: una comunione missionaria.

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La fase sapienziale del Cammino sinodale è stata rappresentata dalla costellazioni. L’immagine mi riporta ad una delle “città” immaginate da Italo Calvino: è una città in perenne costruzione, è una città in cammino.

Chi arriva a Tecla, poco vede della città, dietro gli steccati di tavole, i ripari di tela di sacco, le impalcature, le armature metalliche, i ponti di legno sospesi a funi o sostenuti da cavalletti, le scale a pioli, i tralicci. Alla domanda: – Perché la costruzione di Tecla continua così a lungo? – gli abitanti senza smettere d’issare secchi, di calare fili a piombo, di muovere in su e giù lunghi pennelli. – Perché non cominci la distruzione, – rispondono. E richiesti se temono che appena tolte le impalcature la città cominci a sgretolarsi e a andare in pezzi, soggiungono in fretta, sottovoce: – Non soltanto la città. Se, insoddisfatto delle risposte, qualcuno applica l’occhio alla fessura d’una staccionata, vede gru che tirano su altre gru, incastellature che rivestono altre incastellature, travi che puntellano altre travi. – Che senso ha il vostro costruire? – domanda. – Qual è il fine d’una città in costruzione se non una città? Dov’è il piano che seguite, il progetto? – Te lo mostreremo appena terminata la giornata; ora non possiamo interrompere, – rispondono. Il lavoro cessa al tramonto. Scende la notte sul cantiere. È una notte stellata. – Ecco il progetto, – dicono.

 

La lettera di quest’anno, come altre volte, assume la caratteristica di “lettera circolare”, cioè indicativa di alcune prospettive che scaturiscono da scelte già assunte.

Ve le ho proposte alla luce del criterio “servire la vita dove la vita accade”. Mi auguro che le “costellazioni della fede” possano orientare il nostro cammino.

 

Fraternamente

+Francesco

 

 

3 giugno 2023 

60mo anniversario della morte di San Giovanni XXIII

 

 

 

 

 
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Ciclo di Emmaus dipinto da Arcabas per la chiesa del Pitturello, a Torre de Roveri: i discepoli e il “forestiero” (icona ufficiale)

 

 
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Ciclo di Emmaus dipinto da Arcabas per la chiesa del Pitturello, a Torre de Roveri: le “costellazioni” guidano il cammino dei discepoli diventati evangelizzatori

(*immagine di accompagnamento